La mostra “Il sogno dell’utopia. Viaggi, terre, isole lontane e città ideali nelle immagini e nelle opere della biblioteca della Fondazione Luigi Firpo” è stata inaugurata il 5 giugno 2014 e resterà aperta fino al febbraio 2015. La mostra è allestita nell’anti sala di studio della biblioteca a Palazzo d’Azeglio, via Principe Amedeo 34 ed è visitabile dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 17 con orario continuato. Ingresso libero
1. Fin dal 1452, un “grande” della cultura italiana, Leon Battista Alberti, nel suo celebre De re aedificatoria, descrivendo la città ideale pose le premesse urbanistiche auspicabili, sulle quali poi si esercitarono, nell’età del Rinascimento, architetti, utopisti e politici, avviando un percorso di fervida laboriosità e di riflessioni, da tanti studiosi in seguito ricomposto e interpretato. Il “sogno” della città ideale, dall’architetto progettato con concretezza immanente e dai visionari concepito come un miraggio lontano – in un’isola, in un continente da scoprire in un angolo occulto della Terra o al di fuori del globo terrestre – accompagnò lo sviluppo della civiltà del mondo classico e, più tardi, dopo l’età di mezzo, dell’Europa della modernità e della contemporaneità.
La città fu fatta coincidere con l’«isola» lontana, raggiungibile con il «viaggio». I tre elementi – città, isola, viaggio – erano collegati al sogno, alla fantasia politica: il centro abitato sarebbe stato creato non come l’intendeva Alberti, ma nell’immaginazione, nel futuro, talvolta perfino non sull’orbe terracqueo ma in altri pianeti. Fu questa l’utopia: presente già nell’antichità, ma il nome fu coniato da Thomas More – cancelliere d’Inghilterra e poi fatto decapitare da Enrico VIII nel 1635 – nel suo celebre «aureo» libretto, Utopia (1516), che rappresentava sia il non-luogo o il luogo inesistente (dal greco, ou-topos sia anche il luogo fiorente (dal greco, eu-topos):
Gli antichi mi chiamarono Utopia per il mio isolamento; adesso sono emula della Repubblica di Platone, e forse la supero (infatti ciò che quella a parole ha tratteggiato, io sola la attuo con le persone, i beni, le ottime leggi), sicché a buon diritto merito di esser chiamata Eutopia, luogo felice (More).
All’utopia come speranza e gioia si accostò rapidamente l’utopia negativa, o cacoutopia o distopia, il cui tragitto storico condusse e porta fino al disastro delle società totalitarie e degradate, dispotiche, di George Orwell nella Fattoria degli animali (1945, dove, fra gli uguali, alcuni «sono più uguali») e alla condizione di uniformistica oppressione ideale e materiale in 1984 (1949).
2. L’utopia, congiunta all’utopismo – i due termini sono inscindibili –, con fasi di più o meno ampia fortuna fu sempre componente fondamentale del dibattito culturale e intellettuale della civiltà occidentale. Con una precisazione. Si trattò dell’utopia politica, anche quando assunse configurazione letteraria, ed è arduo individuare una forma di pensiero utopico che non abbia avuto un qualche rilievo politico, specialmente quando si pensi alle istanze più elevate di esso e vengano escluse le «degenerazioni», legate a profili di quella subcultura, che col «fantastico» ha riscosso e ottiene vasto successo: ad esempio, la popolare fantascienza o la nota fantapolitica, specie se di livello basso o infimo. In genere, con la configurazione dell’utopia e con la presentazione di orientamenti utopisti, si fece e si fa riferimento a un qualcosa di operante o da costruire, nel bene o nel male, nel futuro. Di conseguenza, furono compositi e variopinti i modelli delineati e, parallelamente, le discussioni sull’utopia «concreta» (Ernst Bloch). Per contrapposto, è talora tratteggiata la rappresentazione di un modulo perfetto, appunto utopico e non realistico, che conduce alla condanna, al giudizio d’inappellabile opposizione contro una o la società coeva, come accadde e avviene di fatto nella tradizione politica e intellettuale di ogni tempo.
Furono e continuano a essere molteplici gli aspetti assunti dal pensiero utopico e dalla pubblicistica dell’utopia: benché essa – a partire dal Rinascimento – si manifestasse soprattutto come liberazione della razionalità dell’uomo e del suo progetto di edificazione sociale (ma anche materiale e di costruzione fisica) contro l’irrazionalità dell’esistente.
Nacquero allora le utopie che progettavano per l’essere umano un’esistenza favolosa ed equa. Però, la Città del sole (1602) di fra’ Tommaso Campanella fu un qualcosa che andava oltre il piano di innovazione e di riordinamento del tessuto urbano, che pur c’era, e innestava il tutto in un sistema comunitario, razionale ma anche forgiato su un impianto monastico e conventuale. Si affermarono le utopie del «viaggio», sollecitate dalle scoperte geografiche e della ricerca di società spontanee e naturali, ai margini del mondo conosciuto, in aree lontane, oppure legate a ipotesi e sperimentazioni scientifiche e astronomiche – di Copernico, di Galileo, di Newton – che richiamavano pur sempre un’esplorazione al di là dell’orbe terracqueo e miravano a spandersi sulla luna, nel sistema solare: così nell’Altro mondo o Gli stati e gli imperi della Luna di Cyrano de Bergerac (1657-1662). Ci fu l’utopia che promoveva il ritorno all’età dell’oro e alle società primitive – frutto dell’estendersi delle conoscenze – con la creazione, che si potrebbe definire idealista e razionale congiuntamente, della figura del «buon selvaggio». Oppure quelle che guardavano al governo comunitario totalizzante, ma sempre razionale, frutto dell’applicazione del perfetto Codice della Natura di Morelly (1755), e quelle che ponevano l’accento sull’eguaglianza effettiva delle condizioni e del sapere; quelle che esigevano la parità, sempre, e la giustizia per i «diversi» di ogni tipo, quelle che ricostruivano il passato nell’oggi e volevano far coincidere con esso l’avvenire.
Seguirono ancora le ucronie – fuori dal tempo –, che ebbero il loro testo originario in L’anno 2440 di Mercier (1770), per giungere a tutte le dissacrazioni novecentesche, fra le quali emersero, e dominano tuttora, oltre a Orwell, Il mondo nuovo di Aldous Huxley (1932) o la ripulsa del conformismo, distruttivo e anticulturale, di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury (1951).
3. La rapida sintesi qui proposta vuol soltanto indicare quanto le utopie, con i loro percorsi immaginari e le loro intuizioni realistiche, abbiano condizionato la vita politica e culturale delle società umane.
Luigi Firpo, nella sua vita di storico, di filologo, di scienziato della politica e di bibliofilo, fu non solo ricercatore sui temi dell’utopia, ma anche raccolse nella sua Biblioteca centinaia, se non migliaia, di testi di utopisti e ne studiò e ripubblicò numerosi.
Attraverso una parziale e limitata esposizione visiva, si vuole, con la Mostra, ripercorrere il percorso di Firpo nella costruzione della sua Biblioteca, che da venticinque anni è a disposizione degli studiosi e che ora viene presentata in una sua piccola sezione a un pubblico largo, con una serie di immagini, di riproduzioni e di testi originali (questi ultimi, per motivi tecnici e per la normativa vigente, sono tutti posteriori alla data di pubblicazione del 1830).
Non si tratta di mere curiosità. Illustrano una parte consistente e costitutiva del dibattito politico che si è sviluppato lungo i secoli.